In un contesto globale ancora fortemente condizionato dall’emergenza sanitaria, sociale ed economica causata dal Covid-19, nel 2021 un amaro episodio politico ha scosso la comunità LGBTQIA* italiana, ancora una volta tradita dalla politica e dalle istituzioni. Il 27 ottobre 2021 la proposta di legge: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere,sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” (cosiddetto DDL Zan) attraverso una manovra nota come “tagliola”, è stata definitivamente bloccata,determinando un sostanziale affossamento della proposta di legge.
A nulla sono valse le decine di manifestazioni svolte in tutta Italia nei mesi precedenti, nelle quali migliaia di cittadine e cittadini sono scese in piazza perché la legge venisse approvata il prima possibile e senza subire modifiche: in Senato, nei talk show e nei salotti televisivi si consumava l’ennesimo teatrino di una politica sorda, quando non apertamente ostile, alle necessità, ai diritti e al benessere di donne, persone LGBTQIA+ e persone disabili. Quel 27 ottobre un vergognoso applauso ha rimbombato per interi minuti nell’aula del Senato, vergognoso proprio perché proveniente da quei senatori e da quelle senatrici chiamate a rappresentarci e a tutelarci. Quell’applauso, gretto e minaccioso, risuona tutt’ora nell’animo di tutte le persone gay, lesbiche, bisessuali,trans*, intersex, asessuali e con disabilità, in tutte quelle persone che credono nella lotta per i diritti umani e che vedevano nell’approvazione della legge una svolta per tutto il Paese
Crediamo che il progresso di un Paese non si misuri solamente in base al miglioramento dei fattori economici e materiali dei singoli cittadini e delle singole cittadine, ma anche, e forse soprattutto, in base ai diritti e le tutele che vengono garantiti dallo Stato alle comunità più marginalizzate, tra cui la comunità LGBTQIA+. L’approvazione del DDL Zan non solo avrebbe introdotto una serie di tutele necessarie e non più prorogabili per le persone LGBTQIA+, ma sarebbe stata segno di uno Stato pienamente laico e di una classe politica matura, un passo in avanti, per quanto timido e sicuramente tardivo, che ci avrebbe avvicinato allo stato di diritto del resto della comunità europea: invece,
non possiamo che constatare con amarezza come l’Italia si trovi ancora una volta in fondo alle classifiche per la tutela dei diritti LGBTQIA+.
PRETENDIAMO leggi, tutele e diritti adeguati alle nostre necessità e ai nostri bisogni, che garantiscano il nostro benessere e il nostro pieno sviluppo nella società in cui ci muoviamo.
Non solo una legge che chiarisca in modo inequivocabile che discriminare per orientamento sessuale, genere o identità di genere non è ammissibile all’interno del nostro paese, ma molto di più. Una nuova legge che tuteli l’autodeterminazione delle persone trans* e che, superando la ormai obsoleta legge 164/1982, renda il percorso di affermazione di genere un atto amministrativo facilmente accessibile e praticabile in tempi brevi per tuttə. Un provvedimento che riconosca e tuteli i diritti delle persone intersessuali, in Italia ancora costrette a subire interventi chirurgici e trattamenti farmacologici senza il loro consenso, in aperto contrasto con quanto dichiarato dal Parlamento Europeo. E ancora, una legge che vieti, su tutto il territorio nazionale, il ricorso alle cosiddette “terapie riparative”, vera e propria forma di violenza psicologica, quando non direttamente fisica. Mancano ancora, in Italia, il matrimonio egualitario, così come la possibilità di adottare per coppie omogenitoriali opersone single, e tanti altri provvedimenti finalizzati a garantire pari dignità e benessere delle persone LGBTQIA+.
Noi persone gay, lesbiche, bisessuali, trans*, queer, asessuali, intersex e con disabilità proviamo rabbia e delusione, non solo per la mancata approvazione, l’ennesima, di una legge scritta allo scopo di tutelare i diritti umani, ma soprattutto per i tracotanti applausi con cui questi diritti vengono affossati. Nel fallimento del DDL Zan e in ciò che l’ha reso possibile risiedono molte delle ragioni della nostra lotta. La rappresentanza politica che siede in Parlamento e le Istituzioni tutte sono concreta emanazione di una visione del mondo che ancora tutela e privilegia un modello unico di soggetto: etero, cis, bianco, abile e ricco. Per questo motivo,non solo pretendiamo che le Istituzioni nazionali, regionali e locali intervengano per ridurre le discriminazioni basate su genere, identità di genere e orientamento sessuale, ma non possiamo esimerci dal condannare il sistema che crea e alimenta le diseguaglianze di potere su cui si fondano tali discriminazioni.
Riconosciamo come le donne, le persone LGBTQIA+, le persone con disabilità e nonneurotipiche siano tuttora sottoposte a forme di esclusione e marginalizzazione che le rendono più frequentemente bersaglio di odio, abuso e violenza. Non dimentichiamo, inoltre, come la pandemia, in corso ormai da più di due anni, abbia accentuato tali disuguaglianze, colpendo maggiormente le soggettività più fragili ed emarginate.
A differenza di quei Senatori e di quelle Senatrici che affossano i diritti a suon di scrutini segreti, noi LOTTIAMO a volto scoperto: dai moti di Stonewall in avanti, essere presenti nelle piazze, nei luoghi di lavoro e in famiglia con i nostri amori, i nostri desideri, i nostri corpi non conformi è stata la migliore arma a nostra disposizione per scardinaree contrastare una parte di società che ci pensa e ci vorrebbe ai margini, reietti, nascosti.
In un mondo ostile, che applaude soddisfatto a ogni ostacolo che riesce a porretra noi e la nostra libertà, abbiamo il dovere di rispondere con determinazione. Abbiamo bisogno di una riforma radicale che smantelli le ideologie su cui oggiistituzioni e cultura continuano a poggiarsi e ad ucciderci.
Lo faremo a colpi di tacco, come la nostra storia ci insegna.
Facciamo nostra una concezione di lavoro come possibile strumento di indipendenza e autodeterminazione e per questo promuoviamo ambienti lavorativi che siano rispettosi di tutte le soggettività e che garantiscano e tutelino, attraverso equità di trattamento e di compenso, chi lavora. Rileviamo nelle/nei sex workers una categoria fortemente stigmatizzata e marginalizzata che subisce gli effetti di una normativa abolizionista e di una narrazione che lega in maniera automatica e acritica il lavoro sessuale ai fenomeni di tratta o di sfruttamento. Per la diffusione di buone pratiche e per l’estensione di tutele, anche e soprattutto nell'accesso al lavoro per le persone trans, ci poniamo come soggetto interlocutore attivo dei sindacati.
È nostra convinzione che discriminazioni e violenze basate su orientamento sessuale, identità ed espressione di genere attecchiscano in una società frammentata e disinformata. Vogliamo quindi essere fonte di diffusione e promozione di una cultura inclusiva e che valorizzi le differenze di ogni soggettività individuale e di nuclei familiari. Intendiamo operare un cambiamento sociale che coinvolga in maniera orizzontale luoghi (scuole, università, piazze, ecc), istituti (forze dell’ordine, personale sanitario, insegnanti, ecc) e mezzi (letteratura, cinema, teatro, sport, ecc).
In un panorama globale nel quale le spinte conservatrici generano paura e intolleranza, riteniamo fondamentale che lo stato italiano eserciti il suo ruolo di tutela legislativa, promulgando dispositivi che tutelino da episodi di violenza basata su orientamento sessuale e/o identità di genere e reprimano i crimini d’odio verso le persone LGBTIQA+. Pensiamo inoltre che l’Italia debba farsi promotrice europea di buone prassi di accoglienza rendendosi luogo sicuro per tutte quelle persone provenienti dall'estero che hanno dovuto lasciare il proprio paese a causa di violenze e discriminazioni e condannare qualsiasi forma di tratta e sfruttamento.
È necessario assicurare la piena equiparazione di tutte le famiglie attraverso il riconoscimento della responsabilità genitoriale alla nascita e attraverso la riforma della legge sulle adozioni. Assistiamo con fiducia alla presa di consapevolezza, anche da parte del diritto, che non si possa più presumere l'esistenza di un unico modo di fare famiglia. Sono i tribunali stessi ad insegnarci come il "preminente interesse del minore" venga tutelato attraverso il riconoscimento giuridico di quei legami affettivi che ad oggi non sono ancora pienamente legittimati. Obbligheremo la politica ad assumersi la responsabilità di legiferare in merito. Saremo promotori e promotrici di un nuovo modo di fare cultura, sostenendo una riflessione serena, libera da pregiudizi, stereotipi e impostazioni di tipo proibizionistico sull’accesso alla genitorialità, in tutte le sue forme.
Puntiamo alla piena realizzazione del benessere psicologico, fisico e sessuale di ogni persona, rivendicando il diritto a un’assistenza consapevole e specificatamente formata, in un contesto culturale che tenda alla depatologizzazione dei vissuti delle persone transgender e intersessuali, alla prevenzione da tutte le infezioni sessualmente trasmissibili e all’eliminazione dello stigma verso le persone che vivono con HIV. Auspichiamo a una collettività sierocoinvolta, ossia informata, empatica e che non discrimini e stigmatizzi in base allo stato sierologico.
Rivendichiamo il diritto ad un’autodeterminazione completa e incondizionata dei nostri corpi. Vogliamo far parte di uno stato che si faccia garante di una libera scelta dei modi e delle forme con cui gestiamo i nostri corpi e le nostre relazioni affettive fornendo strumenti informativi e di supporto che garantiscano la piena realizzazione di ciò che siamo. Promuoviamo una società che riconosca e dia cittadinanza a tutte le identità non cis-eteronormate e che non si definiscono in base a un’espressione binaria, alle istanze transgender, bi+, gender non conforming.